Cosa significa avere un fratello o una sorella con la fibrosi cistica? Maria Aurelia, della Delegazione FFC Ricerca di Massafra-Taranto, ci ha portato la sua testimonianza durante il raduno dei volontari, tenutosi a maggio. Ci ha raccontato del lungo percorso della diagnosi di sua sorella, una diagnosi arrivata tardi, dopo anni di visite mediche e in un’epoca in cui lo screening neonatale non era ancora disponibile, delle difficoltà a capire le cause e le implicazioni di questa malattia dall’impatto profondo, ma che dall’esterno si vede poco.

«Quando è nata mia sorella, io avevo solo quattro anni. E il girare per gli ospedali finché non ha avuto dieci anni ed è arrivata la diagnosi per me ha significato sacrificare anche la mia infanzia», ha raccontato Maria Aurelia. Dopo, però, le cose sono migliorate: nonostante la necessità di ricovero, di terapie continue, conoscere la malattia ha significato anche procedere, in modo sostanzialmente naturale, verso una nuova routine. Perché conoscere la malattia contro cui si combatte significa anche riuscire ad affrontarla meglio. E oggi «Non sento di avere una sorella con la fibrosi cistica, cioè non vivo con la paura di poterla perdere», spiega Maria Aurelia. «Intanto, credo molto nella ricerca scientifica; e poi, come dico sempre, la fibrosi cistica ci ha tolto ma ci ha anche dato: a 35 anni, mia sorella è diventata mamma» (e, in effetti, il nipote di Maria Aurelia è diventato una dei delegati più assidui del gruppo!).

Certo, le difficoltà rimangono, anche nello spiegare la malattia. In ambito lavorativo, per esempio, quando colleghi e colleghe non capiscono perché quella tosse insistente non ha una cura; ma spesso anche in ambito familiare, per spiegare ai parenti la necessità di un ricovero, di un’altra visita. «E forse è stato proprio quel continuo dover spiegare ad aver destabilizzato più di tutto mia sorella», racconta Maria Aurelia.

Una frase che fa riflettere: non è solo la malattia a pesare, ma anche la scarsa consapevolezza che la circonda.
Ed è proprio qui che la sua esperienza incontra il nostro impegno: far conoscere di più la fibrosi cistica e gli strumenti che possono aiutare a comprenderla meglio. Tra questi c’è il test del portatore sano di fibrosi cistica, un’indagine genetica che permette di sapere se si ha una mutazione del gene CFTR e quindi se si rischia di trasmettere la malattia ai figli.
La campagna “1 su 30 e non lo sai” nasce per colmare questa mancanza di informazione. Le voci come quella di Maria Aurelia – e di tanti altri volontari che vi presenteremo nei prossimi mesi – ci aiutano a dare un volto e un significato concreto a questo impegno.