Sono tante le voci che abbiamo raccolto al raduno annuale dei volontari di Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica, che ci hanno raccontato le loro storie: testimonianze preziose di cosa significhi avere un figlio o una figlia con la fibrosi cistica, quanto possa pesare l’impatto della diagnosi, l’impegno delle cure quotidiane. Ma anche quanto la ricerca possa contribuire alla qualità della vita delle persone con fibrosi cistica e di come l’informazione possa aiutare a conoscere la malattia.

Per Daniele La Lota, della Delegazione FFC Ricerca di Vittoria Ragusa e Siracusa, questa consapevolezza è nata da una scheda telefonica. Erano gli anni ’90, quando i cellulari non avevano ancora la diffusione di oggi: «Mi avevano detto che mia figlia aveva una forma grave di fibrosi cistica. Ero a Messina, sono uscito per scaricarmi un po’. Sono andato a guardare il mare, e mi passavano mille pensieri per la testa. Poi ho tirato un bel sospiro e sono entrato in una tabaccheria per comprare una scheda telefonica», racconta. «La girai e vidi scritto per la prima volta Apri la porta alla vita, aiuta la ricerca sulla fibrosi cistica. Un messaggio duro, come se qualcuno avesse voluto indicarmi ciò che dovevo fare».

A un mese dalla nascita, Martina, secondogenita di Daniele, aveva lo stesso peso registrato alla nascita; nel baciarle la fronte, racconta il padre, si sentiva il sapore di sale. Per tre mesi ci sono state solo domande, poi la malattia ha mostrato il suo vero volto, quello aggressivo: «Mia figlia non respirava praticamente più, aveva un’insufficienza respiratoria grave», racconta Daniele.

È iniziato un percorso impegnativo, che ha richiesto innanzitutto di capire le terapie, che sono molteplici e complesse. Diversi farmaci, svariati cicli di antibiotici e un trattamento quotidiano: «I ragazzi con la fibrosi cistica non possono avere sconti di cure, né a Natale né a Ferragosto», commenta Daniele. Per moltissimi anni, Martina ha dovuto essere alimentata artificialmente.

Ora, soprattutto grazie ai farmaci più recenti, Martina si è laureata e il prossimo anno si sposa. «Ha mille idee, mille progetti», racconta Daniele. Che, da parte sua, non ha dimenticato il messaggio di quella scheda telefonica: «Era come se qualcuno volesse indicarmi ciò che dovevo fare. Lottare per la ricerca, per comunicare, per far conoscere. Perché la conoscenza è già una mezza diagnosi, permette di affrontare il problema sul nascere ed evitare danni irreparabili».

Riconoscere la fibrosi cistica è possibile fin da prima della nascita del bambino o della bambina grazie agli esami prenatali, come amniocentesi e villocentesi. Ma, ancora prima, è possibile sapere se vi è la probabilità di avere un figlio con la malattia grazie al test del portatore sano, che Daniele non esita a consigliare: «Posso dire che consiglierei a una coppia che vuole avere dei figli di informarsi, di chiedere il test del portatore sano. L’informazione, la conoscenza possono salvare la vita».