«La prima domanda che ho fatto al dottore quando ci ha comunicato la diagnosi di mio figlio, Alessio, è stata: “Qual è la cosa più brutta che può succedere?”. In realtà, ho capito solo in seguito le difficoltà che la fibrosi cistica pone nel quotidiano, nella vita di tutti i giorni». 

È il racconto di Alessandra, del Gruppo di supporto FFC Ricerca di Matera, una dei volontari e delle volontarie che ci hanno raccontato la loro esperienza con la fibrosi cistica. Ciascuna delle loro esperienze è diversa; ciascuna, però, ha dei punti in comune con tutte le altre. Come la rivoluzione quotidiana di ritmi, routine, abitudini e priorità che la malattia porta con sé: «A tutto ciò cui, come genitori, possiamo rinunciare affinché Alessio stia bene, rinunciamo», spiega Alessandra. E non vale solo per i genitori, perché nella fibrosi cistica si trova coinvolta tutta la famiglia di un bambino: «Alessio ha quattro anni, la nostra primogenita otto. Vive la fibrosi cistica attraverso il fratello, lo aiuta anche nelle terapie ed è informata sulle accortezze da prendere e le ragioni delle rinunce che facciamo».

C’è un altro punto su cui tutte le persone che ci hanno lasciato la loro testimonianza concordano: l’importanza del test del portatore sano di fibrosi cistica. Alessandra racconta che né lei né il marito avevano idea di essere portatori sani: «Come dice la parola, siamo sani, non abbiamo alcuna manifestazione della malattia». Così, come molte coppie, hanno scoperto di essere portatori solo alla diagnosi del figlio, avvenuta poco dopo la nascita. Conoscere prima la condizione di portatore sano non significa necessariamente rinunciare ad avere un figlio: significa solo poter prendere le proprie decisioni con reale consapevolezza. 

Non solo. Sapere di essere portatori può far sì che anche altri familiari conoscano la propria condizione. Per Alessandra è stato così, perché dopo la diagnosi di Alessio, e quindi la scoperta che lei e il marito erano portatori, «Anche mio cognato ha fatto il test ed è risultato portatore».

Nell’unirsi alle altre voci che sostengono l’importanza del test del portatore, Alessandra ha voluto concludere con un’ultima considerazione: «Quando penso alla fibrosi cistica vedo un faro, quello della ricerca, che ci dà la forza ogni giorno di sperare che non solo Alessio ma tutte le persone con la malattia possano un giorno trovare una cura definitiva e stare bene».